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Julian Sorel | 197 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Gli amanti.djvu{{padleft:207|3|0]] Julian Sorel giacque, lungo disteso, nella fatalità della Vita e della Morte che si combattevano la loro preda, la povera bestia non si mosse, tenendo fissi i suoi occhi sull’uomo che spasimava. Spasimava la debolissima creatura che aveva sempre vissuto pel sorriso del minuto, senza volontà, senza fede, senza bontà: spasimava, l’anima fiacca, l’anima vinta, l’anima immeschinita dalle piccole idee e dagli impuri desiderii: spasimava la creatura che aveva gittato via la parte nobile di sè, e che temeva il castigo, e che voleva fuggire il castigo: spasimava! Correvano le acque torbide del fiume micidiale che avean portato alla deriva tanti cadaveri; taceva la feral campagna romana immobile sotto l’umido fiato maligno del marzo; cadeva il giorno. Il cane, pian piano, lambì la mano aperta di Julian Sorel: quella carezza indistinta fu come un soffio, come una voce, come una parola, fu come l’apparizione di un fantasma. Il corpo dell’uomo disteso ebbe un gran sussulto, e il cuore, veramente, gli si franse nella tenerezza, nel pentimento, nella pietà, nel