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ceva pietà. Sì, io piangevo spesso su me e su lui, a cui era negato, per fatalità, tutto un mondo dell’amore, piangevo sull’aridità del suo cuore e sulla impotenza della sua anima. Glielo dicevo, talvolta, così esplicitamente e così duramente, che egli restava trasognato:
— Sono una creatura inferiore, io, come tu dici? — mi chiedeva fra l’ironia e la tristezza.
— Forse.
— E perchè mi ami allora?
— Per un’aberrazione della mia fantasia, — gli dicevo, in faccia, impetuosamente.
Lo vedevo decomporsi, per la collera, per il dolore. Che m’importava? Mi aveva avvinta a una catena insopportabile. Tentai spezzarla. Impossibile! Egli sopportava qualunque insulto, ora tranquillo, ora umile, ora amorosissimo, e questo, non per amore, no, io lo intendeva bene, ma per la consuetudine della passione, per il legame oscuro ma saldo con cui la passione serra le persone, per la passione della mia persona, delle mie labbra, delle