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La Conquista di Roma | 101 |
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«È naturale, è naturale,» mormorò l’altro, come se chiedesse scusa.
La pallida signora, dai profondi occhi neri, che eran pieni di quel malinconico fluido monacale, ricondusse sino alla porta il deputato, senza neppur chiedergli se avesse intenzione di prendere il quartino, si licenziò da lui con un sorriso, il primo, e non gli strinse la mano.
Ora, egli si sentiva snervato, vinto da una fiacchezza mortale: il sole di novembre lo mordeva come quello rovente di agosto, e l’aria gli pesava addosso. Certo, in quella casa di Capo le Case, vi doveva essere un profumo indistinto, ma, permanente, di quelli che eccitano i nervi e poi li buttano in un accasciamento. Forse il profumo lo portava la signora, così smorta, così severa, con la sua grand’aria claustrale, di badessa nobile, dall’abito nero e dal goletto bianco. Mentre andava, con indolenza, per Via Mercede, gli si ripresentava alla fantasia il salotto bigio e roseo, così dolce nella sua semplicità, la camera azzurra tutta velata di bianco, e le doppie tendine, fluttuanti, ondeggianti, che le davano un carattere intimo, di nido involato in alto, lontano dal mondo. Tutti quei mobili, la dormeuse dove