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La Conquista di Roma 113

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:117|3|0]]Via Giulia, verso piazza Farnese, laggiù verso il Politeama, era un largo rinnovamento edilizio: mucchi di pietre, pile di mattoni, macerie accumulate, muri di case in demolizione, piccoli laghetti bianchi di calce assodata, carriuole di muratori con le braccia in aria, alte impalcature di legno su cui già la réclame aveva steso i suoi cartelloni: a monte e a valle, a destra e a sinistra, ancora delle demolizioni: poi il tronco di una strada già selciata, i lavori della sistemazione del Tevere già cominciati, un Lungo Tevere abbozzato. La leggiera nuvola dello scirocco avvolgeva l’orizzonte verso la Farnesina e l’acqua gialla scintillava lievemente. Una grossa zattera nera tagliava in mezzo il fiume, immota, messa in quel punto per i lavori: pareva una macchina da guerra. Una quiete era anche lì, come una sospensione di vita, come un sogno nella dolcezza invernale del pomeriggio.

Sangiorgio si trasse di lì a stento, e rizzandosi sulla punta dei piedi, vide la bandiera dell’associazione che penetrava in Trastevere. Di nuovo cominciò lo sfilare taciturno per i vicoli sinuosi di quel quartiere estremo; qualche popolano in abito da festa si univa alla dimostrazione: erano,

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