< Pagina:Serao - La conquista di Roma.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
116 La Conquista di Roma

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:120|3|0]]

«Chi ci crede a queste frottole?» riprese l’onorevole Giustini, dando in una energica stretta di spalle. «Bisogna avere vent’anni o sessanta, l’età in cui si è scempiati.»

«Non dica male della gioventù, onorevole,» rispose Sangiorgio, abbozzando un debole sorriso.

«Già, già, gioventù, amore, morte, le tre cose che ha cantate Leopardi: veramente ne ha cantate due, ma l’altra ci sta dentro. Tutti Leopardiani i meridionali, nevvero? Eppure, che famoso seccatore quel Leopardi! Era gobbo, ne ha profittato per far versi o per annoiare la gente. Anch’io son mezzo gobbo, ma non fo versi, perdio! E non secco neppure i miei colleghi della Camera, parlando.»

«Infatti non ha mai parlato, dall’apertura della sessione.»

«E sì che i colleghi miei non hanno la cortesia di contraccambiarmi. Che riunione di chiacchieroni incorreggibili, quante parole inutili, quanto fiato sprecato!»

Respirò lungamente; aveva lo sguardo smorto che filtrava attraverso le palpebre socchiuse. Sangiorgio lo ascoltava e lo guardava, lasciandolo discorrere e non parlando, continuando nel silen-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.