Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
La Conquista di Roma | 133 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:137|3|0]]capelli, spalle nude, pasticci di fegato grasso e quadriglie d’onore... chi pensa che vi sia altro? Ma questa bella regina che saluta, con tanta amabilità, amici e nemici, monarchici e repubblicani, è anche una donna che sente, che pensa, che sa, che ascolta: ma questo re, carico di così pesante fardello, obbligato così doverosamente a un’obbedienza continua, non è un uomo, non ha anch’egli una coscienza, un criterio, una volontà? E tutta questa gente di corte, militari e impiegati, dame d’onore e diplomatici, maggiordomi e servitori, non si agitano, non lottano, non vivono forse? E che? Una riverenza è tutta la loro manifestazione? Non sanno che camminare davanti al re, in una sala? Chi dice questo? Non hanno amore e odii e passioni furiose di ambizione? Ognuna, di quelle donne, non ha un desiderio, un’invidia, un rimpianto amaro?»
Il brutto uomo, strisciando nervosamente le dita sul piano del parapetto, aveva trovato un grosso frammento di calcinaccio secco: ne staccava dei pezzetti e li buttava giù, per la proda verde. Francesco Sangiorgio seguiva attento attento il moto delle mani magre e brune, dalle grosse vene gonfie.