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La Conquista di Roma | 173 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:177|3|0]]nebbia bassa che gli offuscava il cervello si era dileguata, ed egli si vergognava di tutte le ignobili cose da fanciullo, che aveva pensato di fare. Quasi quasi avrebbe chiesto perdono a donna Elena: ma costei, forse, di nulla si era accorta. Tutta nervosa ancora, si passava le mani sulle pieghe della veste di lana nera, a stirarle, come se volesse far loro prendere una tensione immutabile.
«Che ve ne pare della mia predica?»
«Sono un neofita ardente: non intendo tutto, ma ammiro,» rispose il deputato, avendo ripreso elasticità di spirito, da poter esser frivolo.
«Vi farò della musica: questa la capirete,» disse ella, alzandosi a un tratto: «Fumate, leggete o dormite: se non mi ascoltate, non importa: io, la musica, la fo tanto per me che per voi.»
Dopo un momento, una voce delicata e toccante cantò le prime note dell’Avemaria di Tosti. Francesco Sangiorgio trasalì, come a un suono inaspettato, impensato. Invero, la voce di donna Elena non rassomigliava a donna Elena, o, piuttosto, le rassomigliava per un lato solo, e, per gli altri lati, la completava.