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La Conquista di Roma 17

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:21|3|0]]Riprendendo il cammino, il movimento del treno era come un dondolìo molle, senza stridori, senza urti, senza scatti, un andare rapido come sul velluto, con un rombo sordissimo che pareva il russare di un forte gigante addormentato, nella pienezza del suo riposo. Francesco Sangiorgio pensò a tutta quella gente che viaggiava con lui: gente addolorata per la partenza o allegra pel paese dove si recava; gente innamorata senza speranza, innamorata tragicamente, o felicemente innamorata; gente preoccupata dal lavoro, dagli affari, dalle angustie, dall’ozio; gente oppressa dall’età, dalle infermità, dalla gioventù, dalla felicità; gente che sapeva di camminare a un drammatico destino, o che ci si avviava, inconscia. Eppure, tutti costoro, dopo mezz’ora, a uno a uno, avevano ceduto lentamente al sonno, tutto, l’anima e il corpo, obliando. Il benefizio amoroso, profondo, risanatore del riposo era disceso su quegli ardori, e li aveva mitigati, si era allargato su quella tribolata parte dell’umanità, troppo felice o troppo infelice, placandola nel sonno. Nervi irritati, collere, disprezzi, desiderii, morbosità, vigliaccherie, mestizie incurabili, tutte le miserie e tutte le grandezze umane,

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