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La Conquista di Roma 219

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«Una volta, a Napoli, quand’ero studente,» disse lui, sfogliando gli atti parlamentari.

«E ce l’hai?»

«No, naturalmente.»

«Se ce l’avessi, io la vorrei,» soggiunse ella con voce infantile.

«Non ne hai abbastanza dell’originale?»

«No,» rispose Elena, tutta pensosa.

Egli si alzò di nuovo, venne a prenderle le mani, e le chiese:

«Dunque mi vuoi bene?»

«Sì, sì, sì,» cantò ella, su tre note musicali.

Francesco se ne ritornò di nuovo al tavolino, dove si rimise al lavoro. Ella si azzardò sulla soglia della stanza da letto, e vi gettò un’occhiata.

«Franz,» disse di là, «iersera non sei venuto al Valle?»

«Vi era la commissione del bilancio, sino alle undici. Dopo, ero stanco.»

«Sono venute molte persone a trovarmi in palco. Giustini... perchè sei tanto legato con lui?»

«Mi serve,» diss’egli semplicemente, senza alzare il capo.

«Dice male di te.»

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