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La Conquista di Roma 245

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:249|3|0]]paura, forse, ma tutti una piccola pena, un pensiero molesto, una puntura di rimpianto; tutti gli altri al pensiero della catastrofe si esaltano o cercano distrarsi, i grandi interessi del cuore soffrono, l’anima è eccitata o accasciata, nervosa o sonnolenta. Sangiorgio, nulla di tutto questo: nè donna, nè parenti, nè amici, nè servi; non una linea da scrivere, non una parola da pronunziare, non un ordine da dare; Sangiorgio cercava invano, nel cuore, il grande interesse, per cui l’idea della catastrofe fosse dolorosa.

A chi poteva dolere se l’indomani Oldofredi lo avesse rimandato a casa gravemente ferito o morto? A quale donna, a quale uomo? Nessuno, nessuno: egli era solo, accanto alle sciabole, accanto alla catastrofe. E in quel freddo processo di eliminazione, in quella selezione misantropa di persone, di sentimenti, egli arrivò a sè stesso, arrivò al suo grande, unico, egoistico sentimento: l’ambizione politica. L’indomani, se egli era ferito, gravemente o lievemente, non importa, — il valore era sempre il medesimo, la disfatta era sempre eguale, — l’indomani, la catastrofe lo avrebbe colpito in pieno, nel suo profondo, fervido, ardente desiderio di fama e di potere. Non

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