Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
270 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:274|3|0]]convegno, discutevano, mettendo insieme la mediocrità e l’invidia, l’ambizione e la presunzione, il malcontento e la cretineria. Si strillava al caffè, si perorava nelle trattorie, si ordivano piccoli complotti parziali nei salottini delle case mobiliate dove i deputati alloggiavano, si aveva l’aria di congiurati davanti ai piccoli tavolini che il liquorista Ronzi e Singer mette innanzi alle sue botteghe, nell’estate, a Piazza Colonna.
Ogni giorno, alla stazione, da tutte le parti d’Italia, arrivavano deputati, con una piccola valigia: la valigia della settimana di crisi, dove la moglie mette quattro camicie, sei fazzoletti, le pianelle, una spolverina, giacchè il deputato verrà via subito, in qualunque modo. Erano già in Roma trecentocinquanta deputati, numero eccezionale che le più palpitanti sedute invernali non arrivano mai a formare. E forse, ognuno dei trecentocinquanta aspettava, credeva, voleva, desiderava, era sicuro di diventar ministro, per la crisi.
Il ministro, l’uomo forte e buono e sapiente, o non sentiva, o sentendo, non dava molta importanza a questo crescente tumulto di crisi.
«Non vi sarà crisi,» rispondeva, sorridendo,