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La Conquista di Roma | 301 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:305|3|0]]guardava neppure: il suo piede aveva scartate due o tre fascette, come per istinto di pulizia intorno a sè. Odorava i fiori.
Francesco Sangiorgio era venuto in quella casa, in Piazza dell’Apollinare, chiamato da don Silvio Vargas: il ministro dell’interno si era fermato con lui, sulla soglia del Pantheon, gli aveva passato il braccio sotto il braccio ed aveva parlato con lui, sottovoce, per qualche minuto. Poi, aveva insistito perchè andasse da lui, non al ministero, non a quel dannato palazzo di Braschi che sembra un mercato, che è ancora Piazza Navona, nella notte della Befana: venisse a casa sua, all’Apollinare, dopo colezione, doveva parlargli, che diamine, non si lasciava veder mai.
«Domani, allora?» chiedeva Sangiorgio, esitando. «Ma che domani, oggi stesso;» aveva bisogno di parlargli. E passando dal braccio di Sangiorgio a quello di sua moglie, se ne era andato. Sangiorgio era capitato, all’una, all’Apollinare; temendo fosse ancora troppo presto, fu preso da una esitazione innanzi al campanello. Ma dentro, si era inteso subito bene, tranquillo, innanzi alla cordialità di don Silvio; soltanto, mentre il ministro parlava, giudicando uomini e