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La Conquista di Roma 309

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Prima di Sant’Agnese qualche carrozza di cardinale che tornava lentamente dalle catacombe, qualche prete pedone sui due marciapiedi; subito dopo Sant’Agnese due carabinieri a cavallo, avvolti dei mantelli neri, immobili; un soffio molle e sciroccale che radeva la terra; un odore acuto, quell’odore particolare della campagna romana, che va al cervello e dal cervello va nel sangue, come miasma sottile: un cane sperduto, tutto infangato, che andava annusando per le siepi e guardava il viandante, con certi tristi occhi di animale infelice: ecco le cose, le persone, gli animali, le parvenze che vide Francesco Sangiorgio, in quel cader del giorno invernale, sulla Via Nomentana. E in tutte le cose, gli animali, le case, le chiese, la grande malinconia della pioggia imminente, la immensa malinconia del tramonto romano, in campagna.

«Ecco il Ponte Nomentano,» gli disse il cocchiere, indicandoglielo con la bacchetta.

«Ferma; voglio scendere. E aspettami qua,» rispose Sangiorgio.

E a piedi fece la piccola erta che conduceva al ponte, lo strano ponte murato, dall’arco largo e molle che si piegava sull’acqua gorgogliante

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