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28 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:32|3|0]]lungo, stridulo, a due, a tre riprese. A quasi tutti i finestrini vi erano delle teste sporgenti.
Dov’era Roma, dunque? Nulla si vedeva. E la inquietudine era così forte, che quando il treno cominciò a rallentare, l’onorevole Francesco Sangiorgio ricadde sul sedile: il cuore gli batteva sotto la gola, come se gli si fosse allargato per tutto il petto. Passando sul pavimento ferreo degli scambi, quelle scosse forti gli si ripercuotevano dentro, gli davano sul capo come tanti colpi di martello. Gl’impiegati non dicevano neppure: Roma. Ma egli, scendendo, fu preso da un lieve tremito nelle gambe; la folla lo circondava, lo urtava, lo spingeva, senza badare a lui: in due correnti, per i treni che arrivavano, in coincidenza, da Napoli e da Firenze. L’onorevole Sangiorgio era smarrito tra la gente, addossato ai muro, come se non si reggesse, avendo ai piedi la sua valigetta; e con l’occhio vagante guardava tra la folla, come se vi cercasse qualcuno.
La stazione era ancora tutta umida, un pò scura, con quel nauseante puzzo di carbon fossile, di olio, di ferro sfregato, che vi è sempre, piena di vagoni neri, di grandi casse d’imballaggio