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318 La Conquista di Roma

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Sangiorgio raccolse le sue carte con una fretta che non giungeva a dissimulare, le ficcò nel cassetto e attraversò l’aula, i corridoi, salì le scale, frenandosi per non correre. Donn’Angelica non si voltò neppure, udendo schiudere la porta della tribuna.

«Si annoia molto, signora?» le chiese lui, alle spalle, a voce bassa.

«Non più del solito, onorevole,» disse lei, voltandosi un poco e dandogli la mano, senza manifestare nessuna sorpresa.

Egli sedette alle sue spalle: ella, sebbene fosse rimasta rivolta a lui, gli parlava senza guardarlo, tenendo gli occhi sull’aula.

«E ci viene spesso, mi pare?»

«Spesso: anche la noia diventa un’abitudine. E poi... Silvio è ministro, molti credono che io sia una donna influente, a casa è un viavai di persone che vogliono qualche cosa.»

«Si proibisce l’entrata.»

«Sì, quando si è una semplice signora, non quando si è moglie di un uomo politico, di un ministro. Don Silvio ha sempre paura che io gli faccia perdere la popolarità.»

E la voce le si velò d’amarezza.

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