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La Conquista di Roma | 323 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:327|3|0]]scaccia tutte le altre. Se stiamo in provincia, l’uomo ci abbandona per nove mesi dell’anno, senza badare alla gioventù, alla bellezza, alla solitudine della moglie. Se veniamo in Roma, peggio: la casa diventa un piccolo Parlamento, dove si congiura, se non siamo al potere: dove si preparano i mezzi di difesa, se siamo ministri. Non più amici: alleati, clienti, servi, invidiosi, interessati, niente altro. Non si chiede loro l’affetto: si chiede il voto. Ha detto sì? è un amico. Ha detto no? è un traditore. In casa sparisce la intimità: la invade un fiume di gente estranea che la deturpa, che la rende simile a un porticato, a un cortile, a una via pubblica, a una piazza. La cordialità sparisce: il marito è inquieto, è annoiato, cercate di saperne la cagione, — non ve la dice, crede che non possiate capirla, gli uomini politici disprezzano il consiglio delle donne. A tavola? Il marito legge i giornali o risponde ai telegrammi. Al ballo? È difficile che vi possa accompagnare, eppure bisogna andarci, per rappresentare il governo, parlare coi deputati influenti, far la riverenza alle mogli dei capi-parte, dare la mano a creature insignificanti che non esisterebbero, se la grande