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326 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:330|3|0]]due servi che ora portavano un telegramma, ora una lettera, ora un giornale, ora una pietanza: don Silvio stracciava subito la busta del dispaccio, apriva e leggeva la lettera, rompeva la fascetta del giornale, ne scorreva con l’occhio le colonne, non assaggiava la pietanza, la guardava con l’occhio distratto dello spirito assente.
Accanto a lui un calamaio, una penna, della carta da telegrammi, dei foglietti da lettere: e subito rispondeva dopo aver respinto il piatto dinanzi a sè, passava il giornale al segretario, dopo averci fatto un segno col lapis rosso in qualche posto: il segretario leggeva il passaggio segnato, con l’aria imperturbabile di un vecchio diplomatico. E Sangiorgio invano tendeva l’orecchio per cogliere qualche rumore femminile, invano stava attento al minimo incidente: non una cameriera passava, non un campanello risonava, niente di femminile trapelava la ricerca di un fiore, il passaggio di un candelabro, l’affaccendamento dei servi, nulla, proprio nulla.
Donn’Angelica aveva radunato nel silenzio delle sue stanze tutta la poesia nervosa e febbrile di una donna che si veste pel ballo: e il gran mistero della bellezza che si adorna, fatto