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La Conquista di Roma 351

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«Più del solito?»

«Non so... mi pare...»

«Ti pare o sei certa?» ribattè egli, duramente.

«Sono certa, sono certa,» si affrettò ella a soggiungere.

Egli le voltò le spalle: ella era pallida e turbata.

«Volete sedere, forse?» le chiese Sangiorgio, pietosamente.

«No, no,» disse donn’Angelica, «passeggiamo, passeggiamo.»

Andarono in una sala del buffet, sala da dolci, da caffè, da thè, da gelati, piena di gente che rosicchiava e beveva, con una quantità di cartine ricce da confetti sparse sul tappeto. Anche qui era pieno di donne, la principessa di Valmy sorbiva del thè, discorrendo col piccolino — grande traduttore di Platone, atleta della Camera, il meridionale profondo, dalla voce un po’ stridula e dalla frase incisiva, talvolta terribile; la contessa di Roccamorice mangiava delle castagne giulebbate, parlando col Gran Maestro dell’Ordine Mauriziano, dalla barba bianca e dal fine sorriso lombardo; la principessa di Tocco, la più bella

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