Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
362 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:366|3|0]]eco diminuiva, arrivava ancora fievolissima, poi moriva. Solo, costeggiando il muretto che dava sulla Piazza del Popolo, si vedeva ancora, sotto, un’agitazione confusa di una gran massa nera e una grande nuvola trasparente bianca, una nuvola bianca e bassa come quelle palustri.
Sul grande terrazzo, che è piuttosto una spianata, amplissimo, chiaro, che guarda Roma e San Pietro al Vaticano e Monte Mario e tutta la campagna romana intorno al Tevere, oltre la Porta Flaminia, sopra un banco, sotto un albero, un vecchio, modestamente vestito, era seduto. Il bastone gli si abbandonava fra le gambe, il sole gli batteva sulla faccia, ed egli chiudeva gli occhi, inebetito dall’età, dal riposo e dal tepore. Appoggiato, o piuttosto buttato sulla larga balaustra del terrazzo, un prete guardava Roma, piccola macchia nera di fronte alla grande macchia biancastra della città bagnata nella dolce luce del pomeriggio. Francesco Sangiorgio, per vedere, si accostò a questo prete: era un giovanotto magro e pallido, dal volto sparso di macchie di lentiggini: ma non guardava Roma, nè la indistinta massa bruna che fluttuava in Piazza del Popolo: leggeva il breviario, un grosso libro