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366 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:370|3|0]]a riprese, un rombo cupo, il clamore giocondo e pauroso della folla: ogni volta che girava verso villa Borghese, gli pareva di essere in pace, solo con l’amor suo, non disturbato, nel beneficio della solitudine campestre; ogni volta che ritornava verso Roma, l’improvvisa visione della città e il rombo e tutto quel mondo estraneo che s’imponeva, gli guastavano tutti i sogni. Sentiva in quel pubblico, in quella folla, l’ostacolo, la difficoltà, il dolore.
Quando ella giunse, egli l’aspettava da un’ora, non essendosi ancora impazientito, ignorando ancora i tormenti di colui che attende nell’incertezza, fiducioso ancora nella parola femminile.
Ella venne dallo stradone che dà sulla Trinità dei Monti, avendo lasciata la carrozza in Piazza di Spagna: era vestita di lana azzurro cupo, con una veletta bianca sulla faccia che aumentava la giovanilità del suo aspetto: camminava piano, senza muovere le gonne, come se scivolasse sul suolo, non venendo, ma avanzandosi. In un minuto, alzando ambedue gli occhi, senza affrettare il passo: egli non si era mosso dal pilastrino dove stava appoggiato, aspettandola, vedendola avanzarsi, nella cupezza della stoffa bruna, nel