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34 La Conquista di Roma

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:38|3|0]] bianchi della soneria elettrica: per non cedervi, ridiscendeva subito dall’altra parte e usciva dall’aula, portando seco un po’ della malinconia di quel grande cono rovesciato giallastro, così tetro nella solitudine. Non trovava il Sella o il Crispi in nessun posto, nè nel buio corridoio lungo e stretto, dove i deputati hanno i loro cassetti per i progetti di legge e per le relazioni. Egli non trovava il suo uomo politico nè alla buvette, nè al grande salone dei passi perduti, nè alle stanze degli Uffici che dànno sulla piazza: un silenzio, una solitudine, dappertutto, con qualche usciere che gironzava, in uniforme, ma senza medaglia e con l’aria stanca delle persone disoccupate. Or qua, or là, l’onorevole Sangiorgio incontrava il questore della Camera che, era venuto a dare il cambio all’altro questore, un patrizio che si godeva l’ottobre nel fasto della sua villa magnatizia sul Lago Maggiore: e quest’altro, un barone abruzzese, dalla serena aria signorile, dalla fluente barba bionda, dalla compostezza mite, senza severità, del gentiluomo fedele alla consegna, se ne andava invigilando, senza far mostra di nulla. Ogni volta che il barone questore incontrava l’onorevole

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