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402 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:406|3|0]]glia di casa sua, dovunque le poteva dire una parola, dirigere uno sguardo di preghiera senza esser visto, senza essere udito. Diventava la sua idea fissa quel convegno nella casa a Piazza di Spagna, non sapeva balbettare altro, non chiedeva altro. Ella, pentita della sua concessione, ripresa dagli scrupoli, diceva ancora di no, scrollando il capo, non persuasa, diffidente di lui, dell’amore, paurosa delle strade e delle persone. Ella non parlava delle sue paure, dei suoi sospetti, ma rifiutava sempre, ostinata, vinta di nuovo dalla indolenza della donna virtuosa, guarita da quell’impeto di febbre, scampata da quel desiderio di peccato spirituale. Egli s’inaspriva, sdegnato di quei sospetti, amareggiato dalla resistenza, urtandosi colla violenza del suo temperamento e del suo desiderio contro la mitezza di donn’Angelica, spezzandosi contro quel rifiuto. Uno scontento profondo di sè e dell’amore cominciava a nascergli nell’anima: e aveva il senso di una grande ingiustizia che la donna amata gli usava. Una sera, soccombendo all’amarezza per l’ingratitudine di donn’Angelica, le disse, tremando di ira e di dolore:
«Infine.... che temete? Voi siete sicura, voi