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406 La Conquista di Roma

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Ma dopo un paio di lettere, la stanchezza, l’impazienza lo vincevano: e pagava il conto, andava via subito. Talvolta le lettere scritte gli restavano in tasca due o tre giorni, le dimenticava, non servivano più.

All’una era sempre in Piazza di Spagna, comprando dei fiori da tutti i fiorai, caricandosi di rose, di giacinti, di mammole, infilando subito il portoncino, preso da un’ansietà, quasi che donna Angelica dovesse essere là ad aspettarlo, lei, mentre egli aveva la chiave in tasca.

Subito, l’ambiente calmo, ricco, felice del quartierino gli procurava una sensazione di benessere. Là, certo, sarebbe venuta donn’Angelica: lo aveva promosso, sarebbe venuta. E si metteva ad accendere il fuoco, accovacciato per terra, come uno sposo premuroso e innamorato: non era contento, se non quando la catasta divampava, donn’Angelica adorava il fuoco vivo, che rallegra le fibre e riscalda il cuore.

Poi girava per la casa, metteva fiori nei vasi, cambiandovi l’acqua, buttando via quelli appassiti, nella piccola cucinetta vuota: e certe volte mutava posto a un fascio di giacinti, univa le mammole alle rose, le disuniva, mai contento,

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