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420 La Conquista di Roma

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«Non piangete, Angelica,» diss’egli, dopo un poco, con una voce tramutata, «non piangete.»

«Lasciatemi piangere, lasciatemi: mi fa piacere, è uno sfogo: a casa non posso piangere mai. Ora.... ora non piangerò più, vedrete, mi passerà.»

Egli non insistette, parendogli di togliere un conforto alla povera donna: ma le lagrime che le correvano per le guance gli procuravano un grande spasimo, erano per lui un dolore acuto e un’acuta seduzione, lo vincevano con la irresistibile voluttà dell’angoscia. Mentre ella parlava, placida, sorridente, come se fosse nel proprio salotto o in visita nel salotto di un’amica e non chiusa con un amante in una casa recondita, dove nessuno sarebbe mai venuto a disturbarli, egli poteva dominare il suo temperamento d’uomo, sino al punto di non chiederle nulla, sino al punto di non parlarle di amore: ma quando ella, dopo aver parlato del suo cuore ferito insanabilmente, dei suoi sogni perduti, della sua giovinezza morta per sempre, piangeva, piangeva su questa tomba, quando egli la sentiva singhiozzzare lievemente, immota, come una bambina che soffra, allora egli non poteva resistere

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