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426 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:430|3|0]]dito, come colui che ricerca con cura un oggetto, che sa sicuramente di avere smarrito.
Ma la cara figura parea si fosse dileguata nel sole, poichè dopo aver battuto tutte le vie che circondano Piazza di Spagna, correndo, spronato da una necessità invincibile, Sangiorgio non arrivò a ritrovarla. Camminò ancora per un’ora, pel Babuino, per Due Macelli, Via Sistina, villa Medici, il Pincio, in preda a una febbrilità che non gli faceva sentire la stanchezza, lasciandosi vincere dall’idea folle che a quell’ora donn’Angelica avesse avuto voglia di passeggiare, dopo di essere stata un’ora con lui: si trovò in Piazza del Popolo, solo solo, a un tratto calmato, con le gambe stanche, con la testa piena di confusione. Doveva esser tardi, molto tardi; gli parea che fosse passata una lunga giornata piena di avvenimenti, sentiva la stanchezza morale e fisica delle grandi giornate della vita umana: cavò l’orologio. Era appena l’una e mezzo: l’altra metà del giorno rimaneva innanzi a lui vuota. Macchinalmente, pian piano, obbedendo a un antico istinto, si avviò pel Corso, alla Camera, con un’aria annoiata, non guardando neppure le belle romane borghesi che ritornavano dall’ultima