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La Conquista di Roma 431

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:435|3|0]]balcone. Poi lo vinceva la incertezza: e infine, come calava la sera, in quel soave mese di maggio, egli perdeva ogni speranza, si abbatteva in un accasciamento.

Quando la rivedeva, bella, serena, rosea, senza una preoccupazione al mondo, amabile con tutti, prodiga di amabilità, un grande rancore misto di tenerezza, di rimpianto, gli si affondava nell’animo.

Giammai, giammai ella avrebbe saputo la misura del suo amore e delle sue sofferenze. Ella non si scusava o lo faceva con una parolina vaga, detta fuggendo, con una intonazione di voce, con un discorso fatto a un’altra persona, dove raccontava le infinite noie della sua giornata — ed era sempre un concerto, una conferenza, una visita agli asili, una funzione pubblica, noiosa o inutile, che glielo avevano impedito.

Così, l’amarezza di Sangiorgio cresceva, vedendo quanto poco gli appartenesse quell’anima, ma ella gli versava, in tutta la serata, la dolcezza di certe occhiate velate, ella lo teneva sotto la lucentezza blanda del suo sorriso, gli domandava un libro, o il suo ventaglio, o il suo fazzoletto con tanta mitezza di voce, insomma ella

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