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La Conquista di Roma 433

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:437|3|0]]quel primo minuto di consolazione, la fastidiosa, crucciante piaga dell’aspettazione inutile si guariva miracolosamente, l’uomo contristato, sofferente, ammalato, risorgeva, come Lazzaro evocato dalla tomba dalla forte voce di Gesù.

Tutto preso dalla sua amorosa realtà, egli si scordava di quello che aveva sofferto per la sua amorosa visione: e nel cospetto dell’amata, egli non sapeva che adorarla, che inginocchiarsi innanzi a lei, baciarle le mani, umilmente, ringraziandola d’essersi ricordata di lui, come il cristiano che dopo un periodo di travagli, sopportati senza mormorare, batte la fronte sulle pietre della chiesa per una piccola grazia ottenuta. E donn’Angelica rimaneva al posto dove l’amore di Sangiorgio l’aveva elevata, dove ella sapeva restare con la sua forza di temperamento e di carattere, una nicchia alta e solinga, inarrivabile, inattaccabile, tabernacolo di virtù e di purità, donde ella poteva degnarsi di abbassare gli occhi su colui che l’amava, poteva sorridergli, tendergli le mani, lasciarsi baciare l’orlo dell’abito, divinità pietosa, senza che però nessuna di queste degnazioni le offuscassero menomamente l’aureola, senza che la pietà arrivasse mai

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