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438 | La Conquista di Roma |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:442|3|0]]diventava la sua, dove sempre più si perdeva la sua individualità: quando ella, eccitata dai propri racconti, vedendo il pallore e la emozione di colui che l’ascoltava, arrossiva e a stento frenava le lagrime, egli provava, per ripercussione, la stessa sensazione.
Più in là di lei, egli andava in un solo sentimento: donn’Angelica non odiava don Silvio, ella non sapeva odiare, ma era uscita per sempre dal suo cuore, ella non poteva amarlo, poichè egli non aveva saputo amarla, ella non poteva rispettarlo, poichè a troppe transazioni, a troppe viltà costringe la passione politica, — ma non l’odiava, no, gli era indifferente. E diceva questa piccola frase della indifferenza con tanto distacco freddo, con una così glaciale semplicità, che Sangiorgio ne rabbrividiva di paura, pensando che forse quella frase che uccide si potesse applicare a lui.
Ma egli andava più innanzi di Angelica, egli era uomo e odiava don Silvio, come tutti coloro che amano veramente. Egli lo odiava cordialmente, in tutte le forme, materiali e morali, come un nemico e come un uomo cattivo, come un rivale fortunato e come un essere spregevole, lo