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La Conquista di Roma | 451 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:455|3|0]]colse i capelli sulla nuca, uscì di camera, rimise il cappello, prese i guanti, uscì senza volgersi indietro.
VII.
Sotto il portone di Montecitorio, Francesco Sangiorgio s’indugiava, mentre dietro a lui gli uscieri avevano man mano spento il gas della biblioteca, delle sale di lettura e di scrittura, degli uffici: egli guardava il cielo stellato estivo e la piazza, non sapendo decidersi a ritornare in casa. Un’alta figura magra, venendo dagli Orfanelli, gli si accostò, traendosi di bocca il sigaro, piegando un po’ le spalle:
«Buona sera, Sangiorgio,» gli disse. «Siete libero?»
«Buona sera, don Silvio. Libero.»
«Ho da dirvi qualche cosa.»
«Andiamo al ministero, allora?»
«No, no, non al ministero.»
«... A casa vostra?»
«Neppure. Preferisco venir da voi, Sangiorgio,» ribattè il ministro, brevemente, rialzando il capo.