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La Conquista di Roma | 71 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - La conquista di Roma.djvu{{padleft:75|3|0]]za rilievo, che stancava la vista, per cui uno si tirava indietro, ristucco.
Ma questo ambiente che unificava tanti visi, tante età, tante condizioni e tante acconciature diverse, questa specie di livello che le più ribelli teste subivano, questa impronta comune cui niuno, entrato nell’aula, poteva sfuggire, produceva una impressione immensa: l’aula sembrava un grande luogo sacro che annientava l’individuo, un recinto che domava l’intelligenza, le volontà e i caratteri, in cui per rialzarsi, per essere uno, bisognava avere il profondo e fervido ardore mistico o l’audacia del sacrilega che rovescia l’altare. E il grande baldacchino reale, tutto rosso scuro, con le pieghe diritte e rigide che tendevano il velluto, con la pesante frangia d’oro e l’aquila d’oro che ne riuniva le pieghe sotto gli artigli, con l’ampia poltrona in una penombra mistica, aveva un aspetto ieratico, come il tabernacolo, come il sacrario, dove una potenza sconfinata si nascondeva.
A un tratto solo, tutti i deputati furono al loro posto, in piedi, le tribune caddero in un grande silenzio, mentre fuori le trombe squillanti dei bersaglieri sonavano la fanfara reale. Poi un