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IL FANTASMA.

I.

— Loreta, sì.... non è un nome comune — rispose, con la sua lieve e limpida voce, Carolina Leoni, mentre un tenue sorriso le vagava sulla bocca un po’ appassita. — Ma io, da ragazza, ho sempre fantasticato sulla casa della Madonna, presa a Nazareth, dagli angeli, portata a Loreto; e nel viaggio di nozze, io pregai il mio povero Cesare, che mi voleva tanto bene, di condurmi a Loreto.... Mi accontentò; non cercava che di accontentarmi, il mio Cesare, Dio l’abbia in gloria. Poi, quando fui incinta della mia piccola e avevo paura di morire, tanta paura, in quel lungo giorno di dolori, in cui ella nacque, fra le mie atroci sofferenze, io la invocai sempre, la Madonna di Loreto, ed Essa mi assistette e mi salvò; e io ho chiamato Loreta, la piccola, ecco!

E rise, Carolina Leoni, di un suo fuggevole riso puerile, guardando innanzi a sè, nel raccolto salotto, come se le apparisse il volto adorato della sua figlia assente,

— Io — soggiunse Carmela Soria, col suo parlare discreto, sommesso, così di accordo coi toni un po’ sbiaditi della sua faccia, coi suoi capelli fini di biondina che, incanutiti, pigliavano dei miti riflessi di argento, — io, quando dovette nascere il mio Guido, corsi rischio di morte; tutti, attorno

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