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— Vedrò, vedremo... — promette, vagamente, Ardore.

Adesso, egli è tornato verso la baracca. Accanto alla porta è seduto un soldato, a capo basso, curvo, come aggrovigliato su sè stesso.

— E tu che hai?

Il fante è in piedi: ma tace. È smorto e pare che si morda le labbra.

— Sei malato, forse?

— No, signor tenente — e volge il viso in là.

— Sei stanco? Ora riposerai.

— Non posso riposare. Ho da scrivere a casa, subito...

— Sai scrivere?

— Un poco: ma non ho coraggio di scrivere — e abbassa la voce.

— E perchè?

— Signor tenente, mi è morto un fratello, tre giorni fa, a Sainette: tre palle di mitragliatrici, nel ventre... Come faccio a scriverlo, a mammà mia, non ho coraggio!

— Vuoi che scriva io, per te, amico mio? Dimmi tutto.

— Signor tenente mio caro, io sono Gagliardi Domenico e lui, che è morto, più giovine di me, Gagliardi Angelo... La mamma mia gli voleva tanto bene, si sa, era il più piccolo... chi sa che dice, mammà...

— E mammà tua, come si chiama?

— Gagliardi Marianna, a Pratica di Mare, presso Roma, signor tenente. Ci metta che l’ho baciato ancora vivo... e che ha avuto i sacramenti, dal cappellano... Ora, si sa, è in paradiso...

Sul ginocchio, con una penna stilografica, il tenente Fausto Ardore scrive alla madre ignota, che è laggiù a Pratica di Mare, sulla spiaggia latina, a pensare ai suoi figliuoli lontani e in pericolo di morte... «Morto eroicamente... ha avuto i sacramenti... è in paradiso...» E il fratello superstite si curva sul foglietto e mette anche il suo nome. È solo, adesso, Fausto Ardore. Più possente di

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