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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:144|3|0]]sciuto senza padre; e corre verso il suo amico Guido Soria, con cui non s’incontra da mesi. E si abbracciano, strettamente. E si scambiano parole bizzarre, imbrogliate, domande che non aspettano risposta, interruzioni; poi. il discorso unico:
— Che fate, Guido, che fate?
— Trincea, trincea, trincea... — esclama, sottovoce, pallido di noia, Guido Soria.
— Molte privazioni, è vero? — chiede affettuosamente, Gianni Scalese.
— Privazioni di combattere, di vincere il nemico, ecco! — prorompe Guido.
— Ma siete vicini, col nemico, io lo so.
— Vicinissimi, purtroppo! È esasperante, Gianni, Ci scorgiamo, di qua, di là, ogni tanto, se qualcuno di loro, di noi, tira fuori la testa..., E non possiamo nè mirare, nè sparare... Essi, neppure sparano... Dopo un minuto di osservazione, che pare indifferente ed è esasperante, ognuno di noi, di loro, sparisce, si sprofonda...
— Nessuna sortita?
— Nessuna. I nostri comandanti, o sono morti, o sono pazzi, Gianni.
— Zitto, Guido...! — e gli fa cenno, per coloro che potrebbero ascoltare.
— Io schiatto di collera, fratello mio, in quella topaia, dove sono sepolto...
— E i tuoi uomini?
— Oh quelli! Quelli si sono intorpiditi; hanno perduto il gusto del combattere... Se mai l’hanno avuto...
— Esso non è naturale... — dice, piano, il tenente Gianni Scalese,
L’altro non ha udito. E riprende:
— Sai che t’invidio? Sai che t’invidio forte?
— M’invidii? E perchè m’invidii?
— Tu comandi queste lucide e belle mitragliatrici, tu comandi la morte del nemico, tu puoi distruggere il nemico, Gianni... È questa la guerra, la vera guerra, Gianni; non il sotterraneo e il sonno.