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intermezzo.
NOTTURNO.
Il convalescente, volto verso la lampada velata che è sul comodino, presso il suo letto, legge in un suo libro: sotto lo scialle che gli ricopre mezza persona, egli è vestito da casa, perchè si è già levato, nella mattinata e ha fatto dei passi nella stanza d’albergo, ove è confinato, da venti giorni, prima colpito violentemente dalla «spagnuola» con tre giorni di crisi, e, poi, in un improvviso miglioramento e in una lenta e continua miglioria. Le sue forze ritornano: il suo spirito è tranquillo e paziente. Non così nelle altre camere dello stesso grande albergo, ove i viandanti sono stati fermati e immobilizzati dalla vasta epidemia, e alcuni sono scampati al pericolo, guariti e già partiti, altri rimangono sempre infermi, spasimanti, lontani dai loro paese e dai loro cari. Tutta la metropoli lombarda, in quell’ottobre, che si alterna fra la pioggia e il vento, è invasa dal male, e migliaia e migliaia sono colpiti in tutti i ceti, e quasi non bastano i medici, chiamati ovunque, precipitosamente, rinnovando, stranamente, le antichissime scene delle epidemie, che devastarono Milano: ed è invasa e pervasa non Milano, solamente, ma sono invase tutte le città italiane, grandi e piccole e le vittime della «spagnola» sembrano più numerose di quelle che la guerra seguita a fare, in quell’autunno, su ogni