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— Non sappiamo — protestò Delia Consiglio, che era già in piedi, col suo cavaliere.

— Non sappiamo — soggiunse Dalia Consiglio, che si era già levata, col suo Giulio Cortese.

— Gaita, Gaita, voi avrete ballato la mazurka, in gioventù? — gli gridò Barberina Moles.

— In infanzia, donna Barbara, in infanzia...

— E rammentatevela, con quel funerale di terza classe, che è Ginetta. Risorgi, mio caro cadavere di donna!

Poi, avviandosi verso il pianoforte, passò accanto a Mario Falcone e gli disse, a bassa voce:

— Vieni a voltarmi le pagine... Egli, obbediente, la seguì; le si collocò dirimpetto, accanto il pianoforte: in due angoli lontani, lasciati a sè stessi, erano il tacito segretario dell’ambasciata di Spagna presso il Quirinale, don Manuel Peralta, e Magda Falcone, sempre più imbronciata e muta. Le prime note della mazurka d’apaches, della Java, risuonarono: e la voce di Barbara Moles, fattasi volgare, accennò, nel gergo francese bizzarro, che ella pronunciava alla perfezione, quelle parole canagliesche della nenesse, della Gonzesse al suo Julot, sovra una melodia trivialissima, sul ritmo di una vecchia danza scomparsa. C’est la Java, la vieille mazurka, du vieux Sebasto... Esitarono, si confusero, sulle prime i ballerini: ma Barbara Moles segnava e martellava sempre più il tempo della Java, ma la sua voce, fattasi sempre più aderente al tono cinico delle parole e della musica, eccitava i danzatori, mentre ella cantando, teneva gli occhi fissi in quelli di Mario Falcone — la moglie di costui, Magda Falcone, era in un angolo solitario, dimenticata — e Mario Falcone la fissava, Barberina mordendosi le labbra, alle parole più sensuali, che ella pronunciava, socchiudendo gli occhi, tendendo le labbra, a lui... Quand tu me prends, dans mon coeur — Je sens comme un vertigo... Ora le coppie avevano inteso e preso il ritmo e giravano lentamente, viso a viso, sulla vecchia mazurka, più vinti dalla

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