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— Camillo, Camillo, ebbene?
— Barberina! — scoppiò lui, di nuovo concitato,
— Ma perchè hai sempre intorno questa gente stupida, corrotta e cinica? Perchè mi porti in casa, questa gente senza cuore e senza coscienza?
— Camillo, Camillo, perchè sei così, oggi? Che ti ho fatto? — ella disse quasi piangente, come un bimbo preso in fallo.
— Perchè sono così? Tu lo chiedi, ancora, Barberina? — egli riprese, torvo e agitato. — Non capisci? Non sai? Non te ne importa niente, è vero, di quello che accadrà domani?
— M’importa.... m’importa — ella balbettò, un po’ smarrita, innanzi alla convulsione d’ira e di dolore di suo marito.
— Domani la guerra ti porterà via tuo marito — egli concluse. — E, forse, diverrai una vezzosa vedova...
— No, no, no — ella gridò, buttandoglisi addosso, stringendosi a lui, baciandolo sul viso, sugli occhi, tenendolo sotto una pioggia di baci.
— Oh Dio! Oh Dio! — gemette, a parte, Magda Falcone.
— Zitto, Magda — disse duramente Mario Falcone, dal viso contratto.
Barbara si teneva strettissima al marito, e al contatto di quella creatura fresca e giovane, morbida e seducente, pareva che lo sdegno e il dolore di Camillo si placassero. Non lo lasciava, la moglie aderente a lui, conoscendo il potere invitto che ella esercitava sui sensi di suo marito, poiché lo vinceva sempre, con la carezza, col bacio, con l’abbraccio. Ma laggiù, il pallore di Mario Falcone si faceva livido: egli serrava le labbra sulle sue furenti parole, mentre le sue dita convulse avevano frantumato due sigarette. Barbara, lentamente, si sciolse dal marito, sogguardò verso il cognato, lo chiamò, con una voce suadente.
— Mario, Mario!...
Egli si scosse; con qualche passo si accostò al cognato, gli rivolse la parola, molto freddo.