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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:45|3|0]]già deciso... Non sai le sue ragioni, e fa’ la sua volontà, se non vuoi essere un cattivo cristiano, un pessimo prete — concluse, con voce sempre più tagliente, il vecchio.

— Sì... sì, don Francesco! — gridò, rialzandosi, Giulio Lanfranchi. — Non discuto, obbedisco, ma posso soffrire, posso soffrire, padre mio...

— E perchè soffri? Di che soffri?

Come, io che sono il sacerdote di una religione di amore, io che sono un sacerdote di una religione di pace, non debbo soffrire mille spasimi, mille torture?

— Eh già... già... non sei più un uomo... sei un prete — disse, disdegnosamente, il fiero vecchio.

— La guerra, padre mio, il sangue sparso, ovunque... le creature innocenti ferite, uccise... lutti, rovine, perdizione... don Francesco, che orrore!

— I salassi, prete caro, hanno sempre fatto bene, alle nazioni, tutte quante congestionate... Prete, siamo troppi nel mondo, lo sai? — disse il vecchio, sempre più sarcastico e sdegnoso.

Don Giulio Lanfranchi, strette convulsamente le mani ceree sulla nera sottana, quasi a comprimere i palpiti disordinati del suo povero cuore, fissava il suo vecchio protettore, il cui viso brunastro parea diventato di pietra, nella asprezza collerica dei suoi violenti istinti bellici, sopravvissuti a tutti gli altri, che si erano spenti.

— Giulietto, pretino mio, timido timido, che vivi in penombra e in preghiere, nelle chiese oscure e umide, fatti core; se ti chiamano sotto le armi, ti destinano in Sanità. Stai al sicuro: gli austriaci non ti uccideranno — così fischiarono le ingiuriose parole.

— Don Francesco, padre mio, che vi ho fatto? Che vi ho fatto? — gemette, quasi soffocato di pena, Giulio Lanfranchi.

Un tempo di silenzio. Più tranquillo, quasi pacatamente, don Francesco scosse il capo canuto e riprese;

— Non ci possiamo comprendere, tu ed io; tu

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