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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:46|3|0]]non puoi che mandarmi in collera, e io non posso che ingiuriarti. Tu sai bene, chi sono stato io? Lo sai?
— Lo so — rispose, con un soffio di voce, il prete dolente. — Siete stato in gioventù, prima e più tardi, un eroico soldato d’Italia, contro l’Austria... Siete stato ferito, nel 1859; siete stato ferito gravemente e lasciato per morto, nel 1866...
— A Custoza, Giulio, a Custoza! — esclamò il vecchio, poggiando le mani sui bracciuoli, quasi per levarsi, col volto trasfigurato.
— Pochi hanno amato l’Italia come voi e le hanno offerto la vita, come voi, lo so, lo so!
— Pochi hanno odiato l’Austria, la nostra infame nemica, come me, Giulio... Pochi la odiano da tutta la lor vita, come me.
Taceva, ora, il giovine prete.
— E Iddio mi na consolato, facendomi vivere molto, troppo, ma perchè io vedessi, domani, la distruzione dell’Austria... Io vedrò questo. Giulietto... e morirò contento.
— Perdonatemi, padre mio, perdonatemi — disse il prete, dal cuore spezzato dal dolore, curvando la bianca pura fronte, sulla mano magra del vecchio, baciandola, e lasciandovi, infine, cadere le sue lagrime.
Con un gesto amoroso, paterno, don Francesco Soria sfiorò quella fronte, carezzò quei capelli.
— Giulietto, anima pia, anima bella, pensa quanto tu possa far bene, in guerra, sul campo di battaglia...
— È vero — mormorò, fioco, estenuato, don Giulio Lanfranchi.
— Quanto sarà più cara, al Signore, la tua presenza, la tua opera, colà... fra i feriti, fra i morenti...
— E vero, è vero...
— Sai che il soldato caduto in battaglia, è destinato alla gloria celeste? — continuò, più austeramente, il vecchio.
Con gli occhi incerti, in una mortale perplessità,