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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:51|3|0]]viva, si univa a un’onda di sdegno, che invano Pietrangeli si sforzava a reprimere, — Figliuolo mio, perchè parlate così? — disse, mitemente, il prete.
— E come ho da parlare, io, sfortunato, con questa sciagura che mi piomba addosso? — proruppe il giornalaio, mentre Genoveffa, sgomenta, stendeva la mano, quasi a farlo tacere.
— Pazienza, pazienza, Pietrangeli! — soggiunse il prete, levando gli occhi in alto.
— La pazienza è una cosa di donne, don Lanfranchi mio, e glielo direte alla mia domani, a San Camillo. Ma a me, povero padre di famiglia, con quattro anime di Dio di figli, che pazienza consigliate?... Io sono rovinato, reverendo, se debbo marciare.
— Non dite, non dite — balbettò, tremante, il prete, — Rovina, rovina mia, — seguitò l’altro, preso dalla sua tristezza e dalla sua collera. — Moglie e quattro figli, e nessuno può lavorare, ancora, e mi sfacchino solo io, per le strade, al sole e alla pioggia, e nel chiosco dei giornali a gelarmi o ad arrostirmi, secondo la stagione, perchè, se no, Mariuccia e i figli non mangiano. E che mangeranno, se mi portano contro gli austriaci?
— Pietrangeli, lasciamo fare a Dio... — disse, fiocamente, il prete.
— Dio? E quello se ne è bello che scordato di noi! Saranno questi peccatacci nostri, si sa.... Ma queste creature mie innocenti, Bettina quindici anni, e Cecchino, dodici, e Biciarella, otto, e il pupo mio, quel pupetto che ha sei mesi, Augustarello, bello mio... che faranno? Cercheranno l’elemosina? Moriranno di fame:?
— Non vi sgomentate, Cesare! Qualcuno ci penserà; qualcuno ci dovrà provvedere...