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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:54|3|0]]curvava il bel viso di una rara bianchezza, sotto i nerissimi capelli, sollevati in un’onda bruna sulla perfetta fronte; una impazienza la rodeva, e due o tre volte ella fece il giro del salotto, si buttò in una poltrona, come a calmarsi, ad aspettare, si levò con un atto d’insofferenza, tornò sul verone, donde si scorgeva l’entrata; e infine, discese nel giardino, si diresse verso il cancello, quasi non sopportasse più l’attesa. Qualcuno era al cancello; e un servo sovraggiunse, alle spalle di Loreta, andò ad aprire; una donna si avanzò verso la fanciulla, la chiamò, dolcemente:

— Loreta, Loreta mia!...

— Oh madre cara... — salutò distratta, la figliuola, mordendosi le labbra, delusa.

Carolina Leoni si sollevò un po’, sui piedi, poiché era molto più piccola della figliuola, e la baciò sulla guancia, mentre quella si curvava, compiacente, a farsi baciare. E ambedue si avviarono verso la scaletta, che conduceva al salotto terreno della villa, senza passare per la grande scala.

— Che hai, Loreta mia? Sei malinconica? — chiese, timidamente, la madre.

— Malinconica, no, madre; molto seccata, sì — rispose, precisando, la figliuola.

— E perchè, cara, perchè? Dillo a mamma tua...

— Non so nulla di Carletto, mamma. Doveva venire, non è venuto; doveva almeno scrivermi, non mi ha scritto, o, infine, telefonarmi, dire qualche cosa. Niente!

— Pazienza, pazienza, Loreta — disse la madre, col suo mite sorriso. — Verrà, verrà, Carletto... verrà.

— Ma non è venuto; ma non viene — rispose, scontenta, Loreta.

Adesso erano entrate insieme, in casa. Carolina Leoni volse il commutatore e il salotto s’illuminò delle sue tre o quattro lampade velate di colori tenui, e le stoffe di un delicato grigio argento, e i mobili di un legno finissimo, chiaro, e i fiorì sparsi, sul pianoforte, su qualche mensola, sul

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