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LA VEGLIA DELLE ARMI.

II.

Camillo Moles era laggiù, in fondo alla sua stanza da studio, seduto nel suo consueto seggiolone di pelle, quello del suo lavoro: egli appoggiava il capo, un po’ arrovesciato, alla spalliera alta di cuoio bruno, come se riposasse: ma non dormiva. Sul suo volto pallido i suoi occhi erano spalancati: la sua mano destra, abbandonata sulla tavola, entrava nel cerchio della luce: dalle dita schiuse, era sfuggita mezza sigaretta spenta: e la sua mano così virile e così ferma, pareva estenuata. La sorella Magda era entrata pianamente e, così, si era avanzata sino allo scrittoio, e si era seduta dirimpetto a Camillo, senza dir motto: ma egli parve non si fosse accorto della presenza di Magda. Ella sogguardò, un po’, intorno: il largo scrittoio era quasi vuoto dei fascicoli di carte, delle pile di documenti, che sempre lo ingombravano: non un libro, Codice o altro volume di materie forense, vi era schiuso, come sempre: e tutto ciò che serviva per scrivere, per leggere, era posto in un ordine voluto, allineato. Anche il grande calamaio era chiuso: il coverchio di argento, abbassato, scintillava. E un brivido scosse tutta quanta Magda Falcone, la sorella di Camillo Moles, poichè quello scrittoio quasi vuoto, quell’ordine rigido, le diedero una impressione funebre:

— Camillo, Camillo.... — ella chiamò, piano, e distese una mano, a traverso il tavolo, a prender quella di suo fratello, così abbattuta.

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