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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Serao - Mors tua.djvu{{padleft:78|3|0]]calde ancora e gli bruciavano gli occhi. Senza sonno, erano gli occhi, sempre spalancati sulle tenebre notturne; mentre quelli del suo spirito agitato vedevano, sì, vedevano la truce, feroce, devastante figura della guerra, con ruscelli, con torrenti, con fiumi di sangue, e le terre, e i campi, e le valli, coperte di uccisi, tutti giovani... Un profondo, lacerante sospiro, quasi una parola senza sillaba, di disperazione, parve gli squarciasse il petto, giunse sino alla dormiente, ne scosse il placido sonno.

— Che è, Camillo.... che è?

— Niente. Dormi.

Ella si voltò dall’altro lato; si riaddormentò. E dagli occhi brucianti di Camillo Moles sgorgarono lunghe e silenziose lacrime, discesero sulle calde guancie, gli bagnarono le mani congiunte sulle coltri. Solo, nella notte fonda, l’uomo piangeva di sdegno, di ribrezzo e di pietà, sul suo domani di sangue e di morte, invocando, da Dio, cui solamente in quell’istante tragico si dirigeva, la propria morte, subito, prima che la spettacolo atroce del sangue e della morte altrui, gli apparisse. Così, pregò confusamente, sino all’alba. Così salutò, bruscamente, la donna sonnolenta e balbettante: così si avviò solo, nella livida alba, sperando di morire, per non uccidere, sperando di morire per liberarsi.



Lesse quella lettera Loreta Leoni, con una perfetta calmarla rilesse, la ripose nella sua busta, la tenne in mano, sogguardandola, ogni tanto. Seduta poco lontana da lei, sua madre, Carolina Leoni, aveva seguito ogni movimento della figliuola, senza nulla chiederle.

— Mamma, Carletto mi ha scritto.

— Oh! Non viene, questa sera?

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