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Nella notte smorente, era tramontato l’arco tagliente di una fredda luce lattea della luna: il gran cielo di Roma che si curvava sulle larghe vie venienti dalla stazione, sulle Terme di Diocleziano, sui piccoli giardini roridi di rugiada, sulla fontana cantante dell’Esedra, dai nudi, neri, lucidi corpi muliebri, sulle pietre di Roma, che l’umidità notturna ancora bagnava, il cielo di Roma si chiariva dei primi impercettibili albori, che salivano dall’orizzonte al centro: e vi s’illanguidivano nel cielo, vi si smarrivano, le ultime stelle. Una piccola ombra apparve, sfiorando la siepe di uno dei giardini: e dal bavero alzato contro l’aria prima pungente, dal cappello abbassato sulla fronte, si scorgeva solo un piccolo viso pallido e gentile, occhi bassi, labbra strette, mani nascoste dentro il nero terraiuolo talare, stretto alla cintura. 11 prete si fermò, un momento: e, poi, sparve da una porta laterale, quasi nascosta, di Santa Maria degli Angeli, dietro un folto boschetto di alberi del giardino pubblico. Attraversò, il sacerdote, un lungo corridoio gelido, umido, senza luce, che seguiva in parallelo la chiesa; due volte, a sinistra, da una grata fitta, i suoi occhi si volsero nella imponente chiesa, deserta, oscura, e due volte il prete si segnò, trascorrendo oltre, giungendo infine alla larga e alta porta della sacristia, i cui battenti di legno nero intagliato, erano socchiusi. Con un gesto familiare, il prete schiuse un battente, che si mosse lentamente e penetrò nella sacristia di Santa Maria degli Angeli, così vasta che sembrava, quasi una chiesa. Era rivestita di legno nero intagliato a grandi pannelli, sin quasi al soffitto, mentre, in basso, una serie di armadii ne formava il fondo, e vi era disposto, innanzi, un grande e lungo banco: mentre, sui lati, nel legno, eran disposti degli stalli, a sedere: sui pannelli, qua e là, erano sospesi dei quadri antichissimi, di una tinta bruna, ove nulla si potea distinguere, in quella penombra e tutto il soffitto era pinto, in una serie di segmenti, intorno a un

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