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Sonetti del 1835 327

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi IV.djvu{{padleft:337|3|0]] sente, per distrarle la noia e farle un po’ il matto, e lo aveva perciò dichiarato aiutante o vicario del pittore.

ALLA SIGNORA A. BETTINI.

  Poi che a la Valle omai taccion l’orchestra,
La prosa e ogn’altro teatral negozio,
E può restarvi qualche oretta d’ozio
Da gittame, diciam, dalla finestra,

  A voi ne vengo, o mia donna e maestra,
Io del vostro pittor vicario e sozio,
A pregarvi per l’anima di Grozio
Di voler mangiar meco una minestra.

E Grozio appunto d’interpor mi piace,
Perchè fra noi per questo invito mio
Si tratta della guerra e della pace.

Un rifiuto da un Belli non si tollera.
Se mi dite di si, pago son io:
Se mi dite di no, mi prendo collera.

Per il dì 8 dicembre 1835.

  De jure belli et pacis: ecco l’opra
Che Ugone Grozio fé’ immortale in terra;
E si spiega, voltata sotto sopra,
"Del dritto della pace e della guerra.„
Or notate quel belli che son io.
Dunque Grozio parlò del dritto mio.

  E se il mio dritto è tal, che il grande Ugone
Per dichiararlo caricò un volume,
Ch’io m’abbia, amica mia, sempre ragione
È cosa che si vede senza lume.
Perciò di dritto avendone d’avanzo,
Io non v’invito più, vi voglio a pranzo.

  Vi voglio insomma a pranzo pel dì otto,
E ve l’avviso innanzi un ottavario.
Onde intanto mangiate a capo-sotto.
Vale a dire un po’ più del necessario;
E possiate ammannir l’azzimatura,
Per presentarvi in abito e tonsura.]

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