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scogli contra li dei debellare il cielo, fui potente di abissare a le nere caverne dell’orco voraginoso. quando relegai il presuntuoso Tifeo là, dove il mar tirreno con l'iono si congiunge; spingendoli sopra l’isola Trinacria, a fin che al vivo ella fusse perpetua sepoltura. Onde dice un poeta:

Ivi a l’ardito ed audace Tifeo,
Che carco giace del trinacrio pondo,
Preme la destra del monte Peloro
La greve salma, e preme la sinistra
Il nomato Pachin, e l’ampie spalle,
Ch’al peso han fatto i calli,
Calca il sassoso e vasto Lilibeo:
E 'l capo orrendo aggrieva Mongibello,
Dove col gran martello
Folgori tempra il scabroso Vulcano.

Io, che sopra quell’altro ho fulminata l’isola di Prochita; io, ch’ho reprimuta l’audacia di Licaone, ed a tempo di Deucalione liquefeci la terra al ciel rubella, e con tanti altri manifesti segnali mi son mostrato degnissimo de la mia autoritade, or non ho polso di contrastar a certi mezzi uomini, e mi bisogna, al grande mio dispetto, a voto di caso e di fortuna lasciar correre il mondo, e, chi meglio la seguita, l’arrive, e, chi la vince, la goda. Or son fatto qual quel vecchio esopico lione, a cui impune l’asino dona di calci, e la scimia fa de le beffe, e quasi come ad un insensibil ceppo il porco vi si va a fricar la pancia polverosa. Là dove io avevo nobilissimi oracoli, fani ed altari, ora essendono quelli gittati per terra, ed indegnissimamente profanati, in loco loro han dirizzate are o statue a certi, ch’io mi vergogno nominare, perchè son peggio che li nostri

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