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Risero assai le donne della sciocchezza di Silverio; ma molto più ridevano, quando le soveniva il duello delle bracche, qual di loro portar le dovesse; e perciò che le risa crescevano e il tempo volava, la Signora fece di atto che ogniuno tacesse, e Cateruzza con l’enimma l’ordine seguitasse; ed ella, sapendo il voler suo, così disse.

Vorrei, donne, morir con esso voi,
  S’indovinar sapeste, com’è detta
La cosa mia, che tanto piace a voi:
  Anzi a ciascun, che la gusta, diletta.
Ella mi dà co i dolci accenti suoi
  La lingua in bocca; ed io la tengo stretta.
Ma avertite che, quando giaccio seco,
  Ogni un mi può veder, se non è cieco.

L’enimma da Cateruzza recitato fu di maggior piacere, che la favola da lei raccontata; perciò che diede materia ampia di ragionare: e chi ad un modo, e chi ad un’altro l’interpretava; ma la loro interpretazione era molto lontana dal vero. Onde la prudente Cateruzza, tutta gioiosa e festevole, sorrise alquanto; e con licenza della Signora, in tal maniera l’espose: Il mio enimma altro non dinota, eccetto la piva sordina; la quale dà la sua lenguetta in bocca di colui che la suona: e tiella stretta, e diletta molto gli ascoltanti. Piacque ad ogni uno la dichiarazione del sottil enimma: e quella sommamente comendò. Ed acciò che non si consumasse tempo, la Signora ad Arianna impose che l’ordine seguisse; ed ella con gli occhi bassi, fatta prima la convenevole riverenza, in tal modo la bocchetta sciolse.

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