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Notte Nona


Aveva ormai la secca terra mandata fuori l’umida ombra della scura notte, e gli vaghi uccelli sopra li fronzuti rami delli diritti arbori nelli lor nidi chetamente posavano, quando l’amorevole e onorata compagnia, posto da parte ogni noioso pensiero, al solito luogo si ridusse. E poscia che con lento passo furono fatte alquante danze, la Signora comandò che ’l vaso fosse recato; e postovi dentro di cinque donne il nome, la prima che uscì fu Diana, l’altra Lionora, la terza Isabella, la quarta Vicenza e la quinta Fiordiana. Ma prima che dessero principio al favoleggiare, volse la Signora che tutte cinque con i loro lironi cantassero una canzonetta. Le quali con lieto viso e con angelico sembiante in tal maniera dissero.

Sconsolate erbecine,
  Dov’è il valor, dov’è la gloria vostra
  E i gentil sguardi de la donna nostra?
  Ahimè, smarrito è il lume.
  Anzi ’l bel sol ch’ogni altro discolora,
  Che per divin costume
  Ci facevan gioir ad ora ad ora,
  E la nobil sembianza
  Dolcemente allargar a gli occhi il freno.
O fallace speranza,
  Come Amor n’hai del bel viso sereno
  In tutto privi e sconsolati a pieno.

Non senza qualche acceso sospiro fu ascoltata l’amorosa canzone, la qual forse d’alcuno penetrò le radici del cuore. Ma ciascuno il suo segreto amore

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