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VI.

Una sera, al principio di Gennaio, il Balli, con un infinito malumore, camminava soletto l’Acquedotto. Gli mancava la compagnia d’Emilio il quale aveva accompagnata la sorella ad una visita, e Margherita ancora non era stata rimpiazzata.

Il cielo era chiaro ad onta dello scirocco che incombeva già dalla mattina sulla città. Pareva impossibile che a quella temperatura fredda e umida resistesse il tisico carnevale iniziatosi quella sera con un primo ballo mascherato. — Oh, avere qui un cane per far addentare quei polpacci! — pensò il Balli vedendo passare due pierrettes con le gambe nude. Quel carnevale, perchè meschino, gli dava un’ira da moralista; più tardi, molto più tardi, anche lui vi avrebbe partecipato, dimentico del tutto di quell’ira, innamorato del lusso e dei colori. Ma intanto ricordava d’assistere al preludio di una triste commedia. Incominciava a formarsi il vortice che per un istante avrebbe sottratto l’operaio, la sartina, il povero borghese alla noia della vita volgare per condurli poi al dolore. Ammaccati, sperduti, alcuni

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