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— Accanitamente? — ripetè essa volgendosi all’armadio. La tazza le scivolò di mano, ma non si ruppe. Ella la rialzò, la pulì accuratamente e la pose al suo posto. Sedette poi accanto ad Emilio. — Altre ventiquattr’ore — pensò egli.
Il giorno appresso Emilio non seppe impedire al Balli di accompagnarlo fino alla porta di casa. Stefano guardò un momento per distrazione le finestre del primo piano, ma riabbassò prontamente gli occhi. Certo su una delle finestre doveva aver scorta Amalia e non l’aveva salutata! Poco dopo Emilio osò guardare anche lui, ma, se c’era stata, ella doveva essersi già ritirata. Avrebbe voluto fare un rimprovero a Stefano di non aver salutato, ma non gli era più possibile di verificare il fatto.
Molto oppresso, salì da Amalia. Ella doveva aver compreso.
Non la trovò nel tinello. Poco dopo ella venne, con passo rapido; si fermò dandosi da fare intorno alla porta che non voleva chiudersi. Doveva aver pianto. Aveva gli zigomi rossi e i capelli bagnati; certo, s’era bagnata la faccia per cancellare ogni traccia di lagrime. Ella non chiese nulla quantunque durante il pranzo egli si sentisse continuamente minacciato da una domanda. Evidentemente agitata, non trovava il coraggio di parlare. Volle spiegare la propria agitazione, e raccontò di aver dormito poco. Il bicchiere e la tazza del Balli non comparvero in tavola. Amalia non aspettava più.
Ma Emilio aspettava. Sarebbe stato un grande sol-