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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Svevo - Senilità, 1927.djvu{{padleft:181|3|0]]superò i pochi scalini che la dividevano da Emilio. Si appoggiò a lui, nascose la faccia sulla sua spalla con un’affettazione di pudore che gli ricordò l’antica Angiolina e la sua serietà da melodramma, e gli disse: — Nessuno lo sa, neppure mia madre. — Un po’ alla volta ricompariva tutto il vecchio bagaglio, anche la dolce madre. Ella s’era data al Volpini; costui l’aveva voluto, l’aveva anzi posto a condizione per continuare i loro rapporti. — Sentiva che non era amato — bisbigliava Angiolina — e volle una prova d’amore. — Essa non aveva ottenuto in compenso altra garanzia all’infuori di una promessa di matrimonio. Fece, con la solita sconsideratezza, il nome di un giovane avvocato il quale le aveva dato il consiglio d’accontentarsi di quella promessa perchè la legge puniva la seduzione in quelle forme.

Così allacciati, quelle scale non terminavano più. Ogni scalino rendeva Angiolina più simile alla donna ch’egli aveva fuggita. Perchè ora ciarlava, incominciando già ad abbandonarsi. Ora poteva essere finalmente sua perchè — questo era detto e ridetto — era per lui ch’ella s’era data al sarto. A quella responsabilità non si sfuggiva più neppure rinunziando a lei.

Ella aperse la porta e, per il corridoio oscuro, lo diresse alla propria stanza. Da un’altra s’udì la voce nasale della madre: — Angiolina! sei tu?

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